Se dovessimo ripercorrere nei secoli, la storia del jeans, forse riusciremmo davvero a percepire l’universalità e la trasversalità di un prodotto che, entrato oramai nella vita comune, ha trasformato economia e stili di vita.
In questa grande avventura ci sono la Genova del Seicento, la Manchester del Settecento, la San Francisco dell’Ottocento; viaggiatori medievali, marinai, operai inglesi, cercatori d’oro, cowboy, premi Nobel, industriali, bad boys degli Anni Sessanta, stilisti e ragazzi di Woodstock, modelle e rapper del Bronx.
La vicenda cominciata a Genova tanti secoli fa, “ is going on”, portando con sé misteri e curiosità: Tex Willer indossava o no i jeans? E Corto Maltese? Un racconto che si dipana nei secoli ma che inevitabilmente si intreccia con la rivoluzione dello stile e della moda portata avanti da Coco Chanel (sì, sempre e solo lei).
Yves S. Laurent diceva “Mi sarebbe piaciuto inventare i blue jeans, sono il capo di abbigliamento più spettacolare, pratico, rilassato e disinvolto che esista. Hanno personalità, semplicità e sex appeal. Tutto ciò che un giorno spero abbiano anche le mie collezioni”.
Ma torniamo a Chanel. Proprio nel momento in cui lo stereotipo femminile cambiava, subito dopo la grande guerra, un nuovo modello di donna cominciava ad affermarsi: garconne o flapper girls con abiti scollati, capelli corti, trucco evidente, disinibite nell’affrontare problemi di cuore o di sesso, sigaretta appesa alle labbra. E la donna alla moda nei Roaring Twenties con il suo flapper look era perfetta e pronta per un nuovo stile, quello di Chanel appunto, fatto da linee semplici e pulite replicabili con facilità da sartorie di quartiere o da semplici sartine. Raccontare tutto sarebbe davvero troppo lungo, limitiamoci solo ad alcuni avvenimenti divertenti.
L’innamoramento per lo stile western cominciò negli Anni ’30, con personaggi incredibili: Tom Mix, Roy Rogers, Hopalong Cassidy e tanti altri. In poco tempo furono prodotte decine di pellicole che avevano come protagonisti uomini in denim con fronzoli , bottoni luccicanti e nastrini. Il jeans non è più solo workerwear, ma diventa questione di moda. Nuove aziende come Levi’s Strauss e Lee interpretano le esigenze di nuovi consumatori e propongono un prodotto in linea coi i loro desideri.
Forse pochi sanno che per produrre un jeans standard occorre un libbra e mezza di cotone (circa sette etti), che il processo di sanforizzazione brevettato nel 1930 è quello che evita che il jeans lavato si restringa in maniera significativa dopo il primo lavaggio, che il primo jeans da donna fu prodotto da Levi’s a partire dal 1938, il mitico 701 con vita stretta e fianchi larghi aderenti alle cosce , che sempre nel 1937 Levi’s aveva ricoperto con tessuto i rivetti delle tasche posteriori (perché rigavano la mobilia), che i kid’s jeans appaiono alla fine degli Anni ’30, corti sotto il ginocchio, con un solo bottone sulla patta e nessuna tasca per l’orologio, che i Lee Cooper sono apparsi in Inghilterra , per la prima volta nel 1937.
Oggi siamo oramai arrivati a circa un miliardo e 800 milioni di capi di jeans venduti ogni anno, il 90% dei potenziali consumatori possiede almeno un paio di jeans che indossa in media tre volte a settimana. Il più grande produttore di jeans è la Cina, che è anche uno dei Mayri produttori di tecnologie per il trattamento di questo mitico capo.
In Italia, il centro di ricerca dove nascono i jeans del futuro è la Tecnotessile (di Prato) i cui azionisti di riferimento sono aziende tessili, il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Qui si studiano acceleratori di particelle, plasma e nanotecnologie. Si produce il jeans Iriomelt e lo Scent-up: il primo protegge dai raggi Uva il secondo ‘sdifetta’ chi lo indossa: jeans al limite della fantascienza o soltanto icona di stile?
*Partner Odgers Berndtson
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