Correva l’anno 2009 quando per la prima volta si cominciò a sentire parlare di Vogue Fashion’s Night Out. Una grande festa, si diceva, un’occasione per tutti di potere avvicinarsi a quel mondo tanto chiuso ed elitario che è la moda. Si parlava di negozi del lusso aperti fino a tardi, di party aperti a tutti i cittadini, di capsule collection a prezzi relativamente abbordabili, in modo che anche chi non ha la fortuna di avere stipendi da capogiro, potesse avere la possibilità di acquistare un accessorio griffato. E’ stato proprio con la Vogue Fashion’s Night Out, organizzata dal colosso dell’editoria Condé Nast, che per la prima volta si cominciò a parlare di moda democratica. Praticamente un ossimoro.
Ma stilisti, organizzatori dell’evento e gente del fashion system assicuravano che si sarebbe trattato davvero di una manifestazione finalmente alla portata di tutti. Di tutti quegli appassionati che, non facendo parte del mondo glitterato della moda, altrimenti difficilmente avrebbero potuto avere modo di incontrare personalmente i loro designer preferiti, i direttori di quelle riviste considerate Bibbia del fashion.
E in effetti il primo anno in cui ebbe luogo a Milano fu una grande festa. Pochi avevano compreso effettivamente di cosa si trattasse, ma tutti erano incuriositi, volevano vedere, volevano capire se veramente fosse una grande party modaiolo aperto a tutti. In giro per Milano, quell’anno, tutti gli appassionati di moda si aggiravano tra i negozi del quadrilatero della moda, potevano parlare con Angela Missoni che presidiava la sua boutique, con Antonio Marras, potevano avere modo di scambiare qualche parola al volo con il direttore di Vogue Franca Sozzani, bevevano un bicchiere di champagne da Louis Vuitton, mangiavano cupcakes da Stella McCartney e facevano la fila per aggiudicarsi gli smalti in limited edition (pensati ad hoc per l’occasione) di Chanel.
Sembrava che quel 2009 avesse segnato una svolta. La moda si era effettivamente avvicinata alla gente comune. Ma poi? Cos’è successo con gli anni? Le cose, come spesso capita, sono andate degenerando. L’anno successivo, e ancora peggio gli altri anni, la Vogue Fashion’s Night Out, ormai di dominio pubblico anche fra i non cultori della moda, divenne (almeno a Milano) un’occasione per bere e mangiare gratis. E chi se ne fregava delle collezioni, delle capsule collection, degli stilisti disponibili e fare due chiacchiere. L’importante era scroccare champagne e bere cocktail gratis. Si capiva quale fosse il buffet più sostanzioso dalla fila spropositata di gente davanti alla boutique in questione.
Come se non bastasse l’eco mediatica dell’evento aveva richiamato migliaia di fotografi e di conseguenza migliaia di morti di fama, che sfoggiavano look al limite del ridicolo pur di farsi fotografare e finire su qualche blog di street style. Un circo. Impossibile camminare per le vie del centro milanese, impossibile vedere le collezioni di moda, perché gli assetati di champagne ostruivano il passaggio a chi la moda la ama veramente.
Dopo l’edizione romana (il primo e il secondo anno la manifestazione si era svolta solo a Milano), oggi è il turno della VFNO meneghina. Quello che ci auguriamo, dal profondo del cuore, è che in qualche modo si possa ritrovare quello spirito con cui era iniziata. Anche perché di eventi aperti agli appassionati di moda non addetti ai lavori ce ne sono veramente pochi. E che gli “scrocconi mangia-tartine” per una volta vogliano restarsene a casa.
Pinella PETRONIO