di Floriana CAPITANI*
Qual è l’elemento che, in fase di selezione di un manager, fa propendere la scelta dell’azienda verso un candidato piuttosto che verso un altro? Professionalità, empatia, competenza o di tutto un po’?
Mi piacerebbe saper rispondere a questa domanda con certezze assolute per dare un consiglio utile su come affrontare al meglio un colloquio.
Bon chic, bon genre, buon stile, buona classe, raccomanda Inès de la Fressange: non è facile, però, dare un senso concreto e obiettivo a queste parole, perché indicano un modo di essere.
Se vogliamo in ogni caso riflettere su che cosa renda un manager più adatto di un altro a una posizione, migliore per realtà differenti, credo che si tratti proprio di questo: del suo modo di essere, più che delle cose che sa. Di ciò che, è che dell’esperienza che possiede.
Ecco perché, allora, forse l’unico consiglio valido è “essere se stessi”, vale a dire: essere coerenti con la propria vita e non avere paura delle proprie debolezze.
Certo, la scommessa è vincere o perdere. La posta tuttavia è autentica.
Al contrario, il voler sembrare sempre e comunque vincenti, sforzarsi di conoscere tutto e tutti, di produrre un “effetto cyborg” sugli interlocutori, per capirci, alla lunga non è premiante e potrebbe anzi rendere fragile una candidatura potenzialmente vincente.
C’è una ricetta quindi? Forse gli orientamenti che potrebbero offrire inaspettate opportunità sono un po’ di umiltà, sapere ascoltare, rendersi conto e accettare che oggi molte più organizzazioni cercano manager capaci di interiorizzare il sistema valoriale e la cultura aziendale; non ostentare indifferenza nei confronti del colloquio che ci accingiamo a sostenere (del tipo “sono qui per curiosità”…).
Se non sarà esattamente questa la strada del successo, sicuramente non ci perderemo per viottoli secondari e salite ripide e pericolose. E quando invece ci troveremo nella situazione giusta, il successo sarà “facile”, accessibile, farà dire di noi… bon chic, bon genre!
*Partner Odgers Berndtson