Brutta faccenda, quella nella quale sono rimasti impigliati i membri della famiglia Marchtto. Ieri si sono visti bussare alla porta la Guardia di Finanza, sequestrare beni per 65 milioni di euro e accusare di evasione fiscale tutto in un colpo solo. Una storia che prende il via da una verifica fiscale effettuata dall’Agenzia delle Entrate sulla vendita del 29,62% del marchio Valentino Fashion Group da parte dei Marchtto e Donà Delle Rose, avvenuta nel 2008 al fondo Permira, operazione dalla quale sarebbe scaturita una consistente evasione fiscale. Sono 13 le persone indagate per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, tra le quali Matteo, Vittorio, Diamante, Maria Rosaria Cristiana e Margherita Marchtto, e Andrea, Isabella e Rosanna Donà Delle Rose.
Oggi ha parlato Matteo Marchtto con una nota: “Prendo atto dei provvedimenti di sequestro. Mi sembra opportuno solo precisare che non ricoprivo cariche operative nella società, di cui ero socio di minoranza, e che ritengo, insieme alle altre persone coinvolte, di aver sempre operato nel pieno rispetto della legge, tanto che l’operazione in esame era stata ai tempi comunicata in ogni dettaglio alle autorità di borsa e alla stampa. Confido che a breve si troverà una soluzione e a questo fine ho nominato un pool di professionisti capitanato dal professor Uckmar“.
Ma ricostruiamo i fatti. Secondo l’accusa, nella vendita di Vfg sarebbe stata realizzata una plusvalenza di 200 milioni di euro, ottenuta in Lussemburgo attraverso la società Icg, di cui i Marchtto sono proprietari, senza pagare le tasse per circa 65 milioni. Una nota della Guardia di Finanza spiega che “attraverso le indagini svolte è stato possibile individuare i luoghi in cui venivano effettivamente assunte le decisioni ed impartite le direttive sulla gestione della società di diritto lussemburghese. Le risultanze probatorie hanno permesso di riqualificare la holding come soggetto fiscalmente residente nel territorio nazionale con conseguente emersione dell’obbligo di denuncia al Fisco di una plusvalenza da cessione di partecipazioni“. Un giro di parole per dire che, nonostante i magheggi veri o presunti, la Icg è fiscalmente italiana per cui… fuori i soldi.
Soldi che, alla fine, sarebbero finiti alle Isole Cayman, secondo il gip di Milano Gianfranco Criscione. Non, però, secondo gli avvocati dei Marchtto Piero Longo e Niccolò Ghedini: “Come risulta dalla documentazione bancaria le plusvalenze derivanti dall`operazione sono state puntualmente dichiarate, assoggettate a tassazione e rimaste pacificamente nell’ambito dell’Unione Europea e, in particolare per la massima parte proprio in Italia. L’ipotesi quindi che fondi siano stati inviati alle Isole Cayman è frutto di un evidente abbaglio“.
Si attendono sviluppi. Certo è che questa storiaccia, comunque vada a finire, deve far riflettere su due cose: intanto, mette in cattiva luce una delle famiglie più gloriose della borghesia industriale italiana, da sempre sotto i riflettori per vicende più o meno di business ma, tutto sommato, tra le meno contaminate del mazzo; poi, non fa altro che confermare come, a certi livelli, fare business senza sporcarsi le mani sia praticamente impossibile, per scelta o per necessità. Piaccia o non piaccia, è la cifra caratteristica di certa finanza italiana.