Nino Cerruti. 82 anni compiuti a novembre. I Latini direbbero che corre verso gli 83. Noi ribatteremmo che ha più verve ed entusiasmo di qualunque giovincello nato negli anni ’90 o 2000. Perché un gentiluomo, classe e cortesia li ha innati. E’ questione di indole, così come dipende dal retaggio culturale, dalla formazione e dall’esperienza sviluppati in un mondo che pare essere sempre più di nicchia. Quello Cortese.
Ci viene incontro al White, padiglione easy-to-wear chic e contemporaneo della Settimana della Moda di Milano, Milano Moda Uomo, nella struttura adibita alla sua collaborazione con il noto designer inglese Nigel Cabourn, una collezione autunno inverno 2013-14 che si ispira alle tenute da caccia e da pesca dell’aristocrazia inglese della prima metà del XX secolo e rende oMay ai 60 anni dalla scalata all’Everest.
Ci viene incontro un po’ curvo, con un gran sorriso, la mano tesa ad accoglierci, come se fosse possibile non riconoscere il suo sguardo. Un papillon al collo, un doppiopetto degno del suo Lanificio haut de gamme. Comincia con noi il suo racconto fatto di ricordi, di concreto senso della realtà, critico sul periodo che stiamo vivendo, come tendenze e mercati della moda. Una narrazione che dagli anni Cinquanta ripercorre la storia del fenomeno moda. Dei suoi incontri. Di quello che c’è ancora da fare “se solo ce lo lasciano fare e lo tsunami di politica e giochi di potere permettessero alla gente di vivere con tranquillità”.
Ci sediamo sotto una luce, intorno ad un tavolo da lavoro in legno. E ci lasciamo rapire dal suo tono calmo ed estremamente puntuale.
Che cosa rappresenta la Settimana della Moda Uomo per un marchio storico come Lanificio Cerruti?
Per un’azienda come la nostra, questa manifestazione resta un importante strumento di comunicazione, di presa di coscienza da parte del pubblico di quello che viene fatto da coloro che producono gli oggetti destinati a loro. Questo è il filmato che continua: è come un grandissimo feuilleton ad episodi, quello del rapporto tra chi fa ed il giornalismo di moda. Due volte l’anno c’è un episodio che esce e bisogna raccontarlo. A me pare che quest’anno si stia focalizzando il messaggio su un aspetto molto importante: quasi senza accorgercene, tanti anni fa, gli italiani, facendo qualcosa diverso nel mondo formale, hanno creato l’identità del formale italiano diverso dal formale inglese, andandolo addirittura a superare per importanza. Nel campo dell’informale, invece, che sta diventando almeno la metà di quello che la gente consuma e acquista e fa mercato, stenta a prendere un’identità europea e ancora più italiana e quindi vive molto dell’ispirazione che è il gran mondo americano, inteso come lifestyle e tipo di abbigliamento in pendant.
E adesso?
Mi sembra che adesso stia avvenendo una svolta: assistiamo ad un grande sforzo atto a dargli una nostra identità, più interessante, più elaborata, più individuale, meno “grandi-serie-tutte-uguali-fatte-degli-stessi-ingredienti”. Già da qualche stagione abbiamo creduto che fosse venuto il momento di dare una svolta, in quel campo: da qualche anno stiamo mettendo a punto una collezione di tessuti dedicati allo sportswear che è di ricerca, molto contemporaneo. L’occasione è arrivata collaborando con uno specialista di prodotti in questo campo e con un’identità molto forte, mi riferisco a Nigel Cabourn. Per noi era arrivato il momento di valorizzare quella gamma di prodotti e quella tendenza sportswear dall’identità europea, in contrapposizione allo sportswear mondiale che è molto influenzato dalle tendenze americane.
Mercati americani e tendenze internazionali. L’andamento borsistico europeo e il mercato della Cina sono ancora elementi determinanti il vostro business?
Ormai le aziende devono possedere una visione mondiale dei mercati in cui operano. Sicuramente il modo di consumare abbigliamento degli europei è calante nel formale e crescente nel’informale; nel mondo dei Paesi Emergenti, invece, è fortemente crescente nel formale e l’informale ha ancora un utilizzo marginale rispetto alla nostra posizione. Ci sono andamenti diversi, certo, ma complessivamente, l’abbigliamento è in crescente popolarità nei Paesi Emergenti, mentre ha un pubblico più stanco nei Paesi occidentali, più maturi.
Cina, Russia…
Ecco, là si gode di un entusiasmo che era il nostro, negli anni Cinquanta-Sessanta.
Il 2012 è stato un anno complicato. Quali aspettative ha per il 2013: Nino Cerruti crede nella ripresa?
Il 2013 sarà un anno di inizio della riscossa, ma non in maniera marcata. Credo sarà l’inizio di un nuovo senso perché bisogna pensare anche all’aspetto tecnico. La perdita di consumi significa un ristagno del commercio che c’è dietro. Anche nel mio mondo: viviamo tutti una situazione molto simile, chi più o meno. Fenomeni come questi sono estremamente contaminanti. Si parla sempre di “tsunami”. Tsunami e questioni di potere che intralciano l’andamento normale del quotidiano della gente. Il potere che crea pasticci a tutti e crea un’onda dopo l’altra che ci arriva addosso e sconvolge le cose. Se ci lasciano fare, credo che piano piano la gente abbia voglia di vivere decentemente e sia anche abbastanza intelligente da capire che ogni tanto bisogna cambiare modo di fare. Quindi mi auguro che lo lascino fare un po’ per volta. Il 2013 dovrebbe essere l’inizio di questo nuovo punto di arrivo.
Per lei il 2013 in termini produttivi cosa significa?
Nella media, tutto il settore del lusso ha sofferto nel 2012. C’è chi avrà fatto cose straordinarie, è vero, ma molti sono anche tornati a quello che era il 2009. Mi auguro che il 2013 torni ad assomigliare al 2011, quando le cose stavano riprendendo ragionevolmente (un fatturato chiuso a 600 mln di euro, 400 dipendenti, 3,5 milioni di metri di tessuti prodotti ed un export all’85%, N.d.r.).
Roma. Fine anni Cinquanta. Nino Cerruti coinvolge Anita Eckberg. Oggi quale personaggio di grande richiamo vorrebbe con sé?
C’è da considerare un’altra cosa. Allora, l’uso di un personaggio era estremamente raro e discutibile. Erano quelli i tempi in cui cominciava il fenomeno “celebrity”. Alle sfilate venivano gli attori perché erano amici, amici di amici. Oggi puoi avere una lista di persone da invitare ed è tutto in funzione di un capitale investito. Questo delle personalità famose è un fenomeno ormai inflazionato, anche se continua alla grande perché è un messaggio che una parte del mercato riceve volentieri.
Made in Italy e storie di famiglia…
Sì, Missoni (mi blocca subito, abbassa la testa N.d.r.).Quella è una storia molto triste. Non voglio rilasciare nessuna dichiarazione sull’accaduto perché sono vecchi amici. Conosco Tai dagli inizi, da quando era un atleta degli anni Cinquanta, quindi pensi quanti anni sono passati. Una famiglia molto carina, persone davvero per bene, sono gente squisita e la tragedia che gli è capitata… Sa, diventando vecchio, ne sono successe tante agli amici miei. I miei amici degli anni Sessanta rimasti in vita oggi saranno una mezza dozzina…
Secondo lei, però, è vero che l’eccellenza italiana e quelli dei grandi brand passano per le grandi storie di famiglia?
Pensi quanto dell’attività e dell’impegno degli italiani nasce all’interno del sistema della famiglia. La grande impresa che richiede l’organizzazione fredda, efficace, straordinaria è un mestiere poco consono alla classica personalità italiana. Anche le grosse aziende come Luxottica o il Gruppo Della Valle sono tremendamente ancora legate alla persona “dentro” l’azienda. I rapporti sono personalizzati. Nel bene e nel male. Il sistema italiano, che produce molte cose che sono il risultato non di un’alta scientificità ma di una forte emotività, vivono molto di quella che è la forza di una famiglia ed il rapporto tra i suoi membri. E’ nella natura italiana essere così.
E dunque è questo è il lusso di essere italiani?
Questo è l’aspetto bello di essere italiani. Poi ne esistono tanti altri che gli italiani sarebbe meglio che correggessero.
Paola PERFETTI
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