di Davide PASSONI
Il vino italiano piace nel mondo. Detta così, può sembrare una banalità, ma se per “piace” intendiamo non solo al palato ma anche agli investitori, la prospettiva cambia. Sì, perché i marchi storici e riconosciuti dell’enologia italiana sono portatori di valori culturali ed economici.
Lo sa bene Constellation Brands, la più grande compagnia di produzione e commercio di wine & spirits del mondo con 2,6 miliardi di dollari di fatturato nel 2011 e oltre 100 brand del vino e del beverage; lo scorso anno è infatti divenuta proprietaria al 100% di Ruffino, una delle più importanti realtà del vino tricolore con 14,5 milioni di bottiglie nel 2011 e un fatturato di 56 milioni di euro, di cui l’87% all’estero. La parola, dunque a Sandro Sartor, AD di Ruffino.
Partiamo dalla domanda più difficile. Dove va Ruffino, oggi, dopo l’acquisizione da parte di Constellation Brands?
Lontano, perché è entrata nella galassia di una grande azienda con potenziale distributivo e finanziario superiore rispetto a Ruffino, che tiene però intatti alcuni valori fondamentali dell’italianità e dell’alta qualità e cavalca l’onda del vino made in Italy, apprezzato e premiato in tutto il mondo. Insomma, Ruffino si avvale oggi di un motore molto più potente di prima.
Che cosa significa essere, di fatto, un ambasciatore del made in Italy nel mondo?
Intanto è un grande orgoglio, perché siamo ambasciatori di qualcosa di molto amato nel mondo, più di quanto pensiamo: sinonimo di qualità, di un Paese e di un’eccellenza altamente aspirazionali. Poi è una grandissima ambizione da un lato e una missione impegnativa dall’altro, per via delle elevate aspettative nei nostri confronti: ci si aspetta che la nostra qualità sia costante e continua e che non manchi mai il nostro impegno di non tradire la fiducia del consumatore. Perché in tutto il mondo è altissima l’aspettativa nei confronti del prodotto italiano, specialmente agroalimentare.
E un ambasciatore del vino?
Come manager è una sfida che aspettavo da tanti anni. Ho lavorato in una multinazionale come Diageo, che non aveva prodotti italiani, ho lavorato per costruire il brand di altri prodotti, ma sognavo un giorno di poter costruire un brand italiano lavorando a livello internazionale. Il fatto che questo brand sia nel mondo del vino è ancora più bello, perché ha in sé valori, cultura e competenza che ci rendono unici in tutto il mondo.
Lei viene da una lunga esperienza in multinazionali del beverage: come ci si sente alla guida di un’azienda “familiare” come Ruffino?
Intanto nel mondo del vino il legame col territorio è fortissimo più che in altri prodotti. Territorio vuol dire persone, per cui il legame con la famiglia e molto apprezzato e importante. La stessa Constellation, per essere una multinazionale è un prodotto familiare, perché due fratelli hanno il controllo della società; è concettualmente un family business, molto più vicina a Ruffino che a una vera multinazionale, cosa che rende ancora più sensata da parte sua l’acquisizione di Ruffino. Penso che nel vino sia questo il modello più corretto per gestire questi passaggi in termini di cultura aziendale.
Con la crisi si beve di più o si beve di meno? Si beve meglio o si beve peggio?
Il trend segue una riduzione di consumo pro capite in Italia che è in atto ormai da anni, per cui da tempo siamo in un trend di decrescita che va oltre la crisi. La crisi, poi, porta anch’essa una polarizzazione dei consumi verso fasce di prezzo più basse. Nella ristorazione, poi, si riscontrano due fenomeni: da una parte vanno le bottiglie piccole, specialmente quando a tavola ci sono due persone; dall’altra, i vini importanti sulla carta si stanno riducendo e restano i vini più costosi solo se riconosciuti: non si fano esperimenti, si comprano cose che si conoscono già. Qualità, ma conoscenza della marca: pago una cifra che mi sta bene e so di non sbagliare.
Per lei il vino è business, passione, cultura o… che altro?
Un po’ tutto questo. Non posso dire di essere un super esperto, ma sono piemontese e un po’ di cultura e passione li ho. Per me il vino vuol dire famiglia, tradizione, radici, scene di una vita a me molto cara. È diventato poi business, non fosse altro per poter investire, sviluppare, creare lavoro: l’obiettivo di un businessman è creare ,lavoro e benessere per le persone e farlo nel modo più congeniale.
Due rossi Ruffino che la seducono…
Direi Riserva Ducale Oro, espressione di eccellenza del Chianti Classico, difficile da trovare a livello assoluto. Poi Modus, riconosciuto da Wine Spectator con 96 punti lo scorso anno, un vino sorprendente io ogni momento del pasto; un mix si sangiovese, merlot e cabernet che cambia in continuazione, come le donne: sempre mutevoli ma sempre sorprendenti.
E, già che ci siamo, due bianchi.
Uno che mi piace in modo particolare è il pinot grigio de La Solatia, toscano, da una regione non vocata al bianco che invece sorprende: un gusto intenso simile a quello di alcuni bianchi del Sud, lo trovo sorprendente e di grande qualità. Poi c’è l’Orvieto, semplice ma fresco, che piace e può essere utilizzato in tante occasioni: il segreto del suo successo è proprio la sua semplicità.