di Davide PASSONI
C’è, a Milano, una gioielleria che da oltre 60 anni è sinonimo di eleganza, ricercatezza e charme. Una realtà familiare, che ha da sempre avuto il suo cuore pulsante nella Galleria Manzoni ma che, da pochi mesi, ha dovuto strappare le proprie radici dalla Galleria per trapiantarle in via Borgospesso, in pieno Quadrilatero della Moda: location prestigiosa, ma forse un po’meno romantica rispetto a quella della Manzoni. Parliamo, naturalmente, di Schreiber, dal 1948 la gioielleria dei milanesi. Giacomo Schreiber, 27 anni, quarta generazione di Schreiber impegnata nell’attività, ha scelto Il Giornale del Lusso per raccontare il passato, il presente e il futuro di questa storia familiare che, come spesso accade, fonde passione, artigianalità, sapienza del fare.
Partirei proprio dal passaggio Manzoni-Borgospesso: come l’ha vissuto Schreiber e come l’hanno vissuto i vostri clienti più affezionati?
È stato un momento di passaggio, un cambiamento per noi e verso il cliente. All’inizio è stato sicuramente traumatico, forse più per mio padre, che per trent’anni ha lavorato in Manzoni; per me invece è stato anche un incentivo per fare di più e allargare il campo della nostra attività. D’accordo che i nostri clienti sono prettamente milanesi, ma il mio obiettivo è comunque cercare di allargare anche al turista, allo straniero, perché il nostro oggetto è riconoscibile per chi ci apprezza ed è qualcosa che si può trovare solo qua, avendo un unico punto vendita.
In effetti le vostre creazioni sono molto particolari…
Oltre a essere un prodotto di nicchia, il nostro è anche un prodotto non particolarmente accessibile, anche in tempi come questi in cui la gente vuole comunque e sempre acquistare un gioiello che sia unico ma portabile.
Dunque il fatto che vi siate inseriti in pieno quadrilatero probabilmente vi dà più possibilità di creare una clientela “migrante”, che forse non era nel DNA di Schreiber…
Esatto. Anche perché poi le gallerie, per quanto suggestive, sono sempre un po’ sfortunate commercialmente. Quindi il cambiamento è sicuramente positivo, anche perché ora siamo sulla strada, con altri bei negozi che ci circondano e con più visibilità c’è più possibilità di farsi conoscere.
Mi parlava di Mayre portabilità, di articoli più accessibili: quindi state pensando anche di ridisegnare quella che è la vostra collezione? Anche sulla base di questo cambiamento di location?
Sicuramente. Noi spesso creiamo su disegni degli Anni ’70 fatti da mio nonno e li attualizziamo, li modifichiamo e li rendiamo più consoni al 2011. Riusciamo, per esempio, a cambiare la pietra, a utilizzare uno smalto diverso, forme più leggere; sicuramente il punto fondamentale è quello di creare qualcosa di acquistabile senza esagerare, perché il gioiello non deve essere dimenticato in una cassetta di sicurezza in banca e passato da genitore a figlio senza essere mai utilizzato. Noi amiamo fare qualcosa di mettibile e che piaccia.
E oggi, nel 201,1 come nasce un gioiello Schreiber?
Come 60 anni fa: dalla nostra mano, matita e carta. Usiamo il computer giusto per le e-mail. Poi c’è il passaggio dell’acquisto delle pietre, di cui mi occupo io.
Dove?
Di solito in Thailandia e in Sri Lanka. Acquistiamo le pietre e poi in base a quello che acquistiamo decidiamo che cosa fare. Se prendiamo una bella pietra con una certa caratura penseremo di fare un bell’anello o una bella collana.
Quindi prima la pietra e poi il disegno?
Sì, esatto. Sempre tutto a mano, poi dai nostri artigiani sempre milanesi, sono sempre quelli da venti, trent’anni, che riescono a creare sempre ottimi oggetti.
Ed è una formula che funziona…
Sì, è molto apprezzata dai nostri clienti. La difficoltà in periodi come questi è che la concorrenza è sfacciata. Purtroppo, essendoci anche poca cultura del gioiello, la gente si affida a quello che vede su un giornale, su un magazine anche se a volte la qualità è quella che è. Personalmente ho avuto un’esperienza per un grande brand italiano e vedevo che lo straniero entrava nella boutique con in mano la pagina pubblicitaria di ina rivista e diceva solo: “Voglio questo, se non c’è non compro niente”. Un po’ di ignoranza, forse, del prodotto.
C’è più cultura del gioiello in Italia o all’estero, secondo lei?
In Italia ci sono molte piccole realtà come noi, piccole botteghe. E c’è ancora quella voglia di creare, quel design particolare, quella creatività che in altri Paesi europei o extraeuropei non ci sono.
Qualcuno sostiene che le aziende di alto livello a conduzione familiare come la vostra, per poter stare sul mercato devono tornare a fare “gli artigiani del lusso”. Condivide?
Assolutamente sì. Anche perché, secondo me, il vero lusso è la capacità di poter scegliere e la persona che ha questa capacità ha anche un buon gusto e non cerca quello che hanno tutti. Deve avere qualcosa di diverso, qualcosa che appartiene solo a lui.
Quanto conta per voi, per una realtà come Schreiber, essere a Milano?
Noi siamo nati a Milano nel 1948, il primo negozio l’ha aperto mio nonno e diciamo che l’impronta è prettamente milanese. Milano poi è una città molto moderna, più internazionale anche nel gusto per un certo tipo di oggetto. Noi siamo qui e ci vediamo solo qui.
Tornando all’inizio, il cambio di location porta con sé anche altri mutamenti. Pensate di comunicare il vostro brand in maniera diversa?
Vogliamo fare l’inaugurazione del nuovo negozio a settembre, magari prima o poco dopo la Settimana della Moda, con inviti ai nostri clienti, oltre a un open day per i giornalisti che possono venire qui, vedere i gioielli e rilassarsi nel bel cortile interno. Partire da lì magari con una piccola campagna di comunicazione, ma non per vendere, per parlare e far parlare di Schreiber.
Per cui il vostro 2011, tutto sommato, è partito con un cambiamento in prospettiva sereno…
Ci stiamo ambientando. Siamo ancora in fase di rodaggio, però siamo molto positivi. In futuro ci potrebbero essere anche collaborazioni esterne, magari con designer diversi, anche perché mio padre lavora da parecchi anni e non penso che farà come mio nonno che ha lavorato fino a 88 anni. Le epoche sono diverse.
Infatti mi parlava di “fatto di casa”: avete mai avuto, invece, delle richieste di designer di un certo nome che avrebbero voluto creare per voi?
Diverse persone si sono proposte come designer o creatori, però per adesso manteniamo la nostra impronta, totalmente nostra e senza parti esterne. In futuro, però, non vedo perché no.
Suonasse alla porta Anish Kapoor, per esempio?
Beh, bisogna anche vedere cosa pretenderebbe in cambio da noi. Però, certo, le collaborazioni, se funzionano, sono fondamentali.
Com’è cambiata la vostra clientela in questi anni? Mi diceva che è prettamente milanese: come altre realtà nel Quadrilatero che hanno una storia familiare, anche per voi si parla di madri, figlie, nipoti, famiglie che si tramandano le vostre creazioni?
È esattamente così, anche se il figlio del cliente nato negli Anni ’50 e che adesso avrà una trentina d’anni, più o meno come me, ha più difficoltà nell’acquisto di un gioiello, perché i tempi sono cambiati e non c’è più quella possibilità che c’era una volta. Però si vede che i clienti si tramandano da padre a figlio e la cultura del brand viene apprezzata perché, alla fine, diviene quasi simbolica. Non è raro che negli Anni ’50 il padre ha comprato l’anello di fidanzamento per la moglie e ora il figlio vuole fare lo stesso passo, venire qui e comprare lo stesso oggetto per la sua futura moglie. Schreiber, in questo è anche un simbolo.