Che cos’è cambiato nella moda e del mondo della sartoria dal 1968 ad oggi? Esistono ancora territori inesplorati e nuove frontiere per chi, come Carlo Pignatelli ha fatto la storia del made in Italy, nel mondo? Sì, secondo lo stilista brindisino-milanesizzato, che fra un viaggio e l’altro ci confida ...
Dal 1968 ad oggi direi che vi è stato un cambiamento radicale. Già negli anni ’80 ci fu l’avvento del pret a porter e la sartoria venne in qualche modo penalizzata; oggi la sartoria regge grazie alle persone più facoltose o quelle appassionate al capo su misura. L’esperto sa che c’è una bella differenza tra un capo in taglia standard e uno su misura. Nelle mie collezioni si possono trovare tutte le peculiarità del capo su misura, dai dettagli alla vestibilità, questo per dare a più persone la possibilità di apprezzare questo tipo di abbigliamento.
Quale ricordo ha dei suoi primi anni da stilista?
Ricordo, nelle mie prime sartorie, quando lavoravo sino a notte fonda per realizzare i capi a mio piacimento e quando, in discoteca, i miei amici mi vedevano con capi esclusivi e li volevano anche loro. All’epoca si usavano pantaloni a zampa, scarpe alte, capispalla dai grandi rever e camicie strettissime. Per me era, si un lavoro, ma anche un divertimento.
Come fu il trasferimento Brindisi – Torino – Milano? Crede che funzioni ancora così il percorso “geografico” degli aspiranti stilisti di domani oppure trova che il sistema del fashion sia cambiato?
In un sistema moda sempre più globalizzato, mi piacerebbe pensare che adesso si possa lavorare in qualsiasi parte d’Italia e del mondo, però, per una questione logistica, inevitabilmente stabilirsi al nord, Milano, Torino, Firenze ecc. risulta essere più comodo; diversamente si rischia di perdere il passo.
Per chi è “alle prime armi”, è meglio puntare sull’Italia o scegliere l’estero? E quale Paese scegliere?
Per chi è alle prime armi è importante avere una buona base, passione per questo lavoro e tanta volontà. Sia in Italia che all’estero ci sono delle valide scuole di formazione anche se, per me, vale l’idea che la migliore formazione sia quella sul campo. Certo è che l’Italia è la capitale della moda, assieme a Parigi per l’haute couture e New York. Poi, per la comunicazione, ci sono altre città chiave in cui bisogna esserci per forza.
Nel pieno degli anni ’90 , quindi in “tempi non sospetti”, Carlo Pignatelli ha aperto in Portogallo e in Giappone: si ricorda i motivi alla base di quella scelta ?
Modestamente posso dire che, dando priorità alla qualità dei capi, mi sono dedicato poco alla comunicazione, di conseguenza sono stati più gli altri a cercare me che io a cercare gli altri. Così penisola iberica prima e Giappone dopo si sono affacciati “spontaneamente”al mio mondo avendo ragione di crederci; da li, poi, siamo arrivati un po’ ovunque.
Ci sono delle scelte che, oggi, non rifarebbe?
Per quanto riguarda il mio percorso rifarei tutto quello che ho fatto sino ad oggi. Avevo e ho tutt’ora degli ottimi collaboratori, che nel tempo mi hanno aiutato a scegliere, anche se l’ultima parola è la mia ovviamente.
Tante linee, molte collezioni; quale ritiene sia la più rappresentativa, nel nostro Paese, della filosofia Carlo Pignatelli? E all’estero?
Inevitabilmente la linea Carlo Pignatelli cerimonia Uomo, sia in Italia che all’estero. Infatti rappresenta l’80% del nostro fatturato. A seguire la le linee da sposa, quella da giorno e poi le altre.
Carlo Pignatelli e l’arte. Carlo Pignatelli e la TV, il cinema. Carlo Pignatelli e lo sport. C’è ancora un mondo da lei non esplorato? Che cosa le manca da fare?
E’ vero, da quando lavoro ho collaborato con la TV, il cinema, lo sport, la musica, l’arte ecc. E’ vero anche che non si finisce mai di imparare e di esplorare, perciò sono sempre disposto a collaborare con tutto ciò che per me può essere stimolo di evoluzione e curiosità.