Ci sono viaggi che partono da lontano, da quando si è molto piccoli ed anche una noce di posticino incastonato nel Golfo dei Poeti ti pare un regno incantato in cui possono accadere le cose più fantastiche. Si sconfiggono i Turchi che vengono dal mare, si incontrano principi e dame. Ci sono imprese che hanno il valore di una conquista e che riescono a congiungere la piccola credenza popolare con la grande letteratura internazionale.
Ci sono occasioni che valgono una vita, e se la Liguria è la regione che per il 2013 può vantare di avere l’acqua più pulita, con venti località da Bandiera Blu, due in più rispetto all’anno scorso, piazzandosi sul gradino più alto del podio davanti anche alle Marche e alla Toscana, allora anche una lingua di Italia fatta di terra e mare può diventare il punto di partenza di una grande avventura.
Sogniamo parlando al telefono con Anna Maria Guldoni e ci sembra di essere lì, al Bar Oriani in Piazza a San Terenzo, storico luogo di ritrovo dal 1918. Stiamo prendendo un caffè alle 10.15 del mattino di un caldo martedì 14 May 2013 con suo marito, aspettando che il sindaco di Lerici venga a “tagliare il nastro” dell’impresa che ora Fabrizio Trivella si sta finalmente apprestando a realizzare: compiere il Giro d’Italia in canoa, in solitaria, da San Terenzo (paesino tra i più noti Lerici e Porto Venere, in provincia di La Spezia) a Trieste.
“E’ da quando ci siamo conosciuti, nel 1985, che coltiviamo la passione per tutti gli sport a contatto con la natura – la montagna, l’escursionismo, la canoa – e per i viaggi, quelli spartani, dove il lusso è l’immersione totale nell’ambiente, Fabrizio è una vita che vive a contatto con il mare: ha cominciato a lavorare da giovanissimo, ha navigato sulle navi da crociera, è stato per una vita marinaio in Fincantieri ed ora che è andato in pensione, l’agosto scorso, ora che ha 57 anni ha finalmente potuto realizzare serenamente il suo sogno“, ci dice la Signora Guldoni serena e felice. Forse, una nota di preoccupazione per questo viaggio estremo ed in “balia di Nettuno” c’è, ci dice, “ma devo dire che Fabrizio ha anche cominciato a pensare a questa impresa un anno fa, circa, e non aspettava altro che la libertà di andare in pensione per il godersi i suoi allenamenti lungo la costa, facendo tragitti lunghi. Non ci aspettavamo tutta questa notorietà nell’arco di 2-3 giorni. Fabrizio è partito in totale autonomia, senza sponsor: con sé ha solo una canoa attrezzata con pozzetti stagni, una tenda, una sacco a pelo, fornellino con viveri di sopravvivenza, un pannellino solare per ricaricare il cellulare, tablet, GPS, insomma, il minimo indispensabile. Ci sentiamo più volte al giorno ma solo con il cellulare, non siamo ancora riusciti via Skype per via del campo, ma, cosa vuole, con questo tempo inclemente non può che muoversi per piccolissimi tratti di mare“.
Nel momento in cui la raggiungiamo al telefono per sapere a che punto siamo di questo viaggio che sentiamo anche un po’ nostro, il nostro eroe è su una spiaggia libera a Calambrone, poco prima di Livorno.
Un piccolo Ulisse che, “perché non c’era spazio”, ha lasciato che fosse sua moglie a casa a raccogliere i posti, le impressioni, i ricordi. Annamaria li sta segnando tutti con la cartina davanti al naso ed anche lei, così innamorata del mare, è come se stesse viaggiando, almeno con la mente. “No, io non sarei potuta andare con lui: avrei dovuto chiedere un’aspettativa di almeno tre mesi dal lavoro e poi ci vuole una straordinaria tenacia psicologica, oltre che fisica, per cimentarsi in un’impresa così. La mia tensione si è sciolta quando ho veramente capito che ce l’aveva fatta: è partito, lo sento tranquillo e soprattutto contento perché sta realizzando il suo sogno, cioè vivere in piena immersione nella natura, sfidare se stesso ogni giorno“.
Una sfida che invece un altro grande del passato, Percy Bysshe Shelley, non vinse – ma Fabrizio ha bello che superato il suo predecessore.
Il buon poeta partì proprio con una barca dalla sua “casa bianca”, Villa Magni lasciando la moglie, Mary Shelley affacciata sul mare che dà sul Golfo.
A destra il castello di San Terenzo. In fondo all’orizzonte, da destra verso sinistra, Porto Venere, l’Isola Palmaria, il Tino, il Tinetto e poi Lerici, così pisana nella sua rocca a proteggerla (ed il campanilismo, tra i due borghi, non si è mai assopito).
Partì un giorno diSeptemberdel 1822, cinque mesi dopo il loro arrivo, e non fece ritorno, ma da lì Mary cominciò a scrivere quel Frankenstein che ancora in questi giorni viene raccontato a teatro nelle grandi città di mezzo mondo. Mostri strani e personaggi fantastici, come quelli che popolavano le loro stanze e che destavano le chiacchiere delle comari del paese.
Perché Mary, di cose pazzesche, ne aveva viste nelle sedute di medicina del padre, a Londra; aveva di che sbizzarrirsi con i suoi amici che, tra gli altri, annoveravano anche quel Lord George Byron che poi, tra una nuotata San Terenzo – Porto Venere ed un effluvio di assenzio, diede anche il nome alla grotta sottostante la chiesa di San Pietro, a Porto Venere.
Tempi lontani? Tutti spariti? Assolutamente no. Provate a scendere da via Garibaldi, fermarvi a prendere un poncrè dolce tipico come un plum cake, che ai tempi del papà di Maria Velia e Paolo, il buon Gino, l’americano non lo si sapeva dire. Provate a perdervi nel paesaggio circostante e poi visitate la casa bianca, la Torre dell’omonima via, il castello, la tana dei turchi. Magari fermatevi nel parco che li ospitò, Carla Sanguineti ha appena pubblicato un libro eloquente sul tema: “Come un incantesimo. Mary e Percy Shelley nel Golfo dei Poeti“. Quindi risalite da via della Vittoria e guardate il Golfo.
Non è un caso se i vecchi ci insegnavano il motto, in dialetto, “SANTEENSO, che del golfo è il piú bel fior”.
Paola PERFETTI
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