I favolosi Anni ’60 o meglio la rivolta dello stile. Le modifiche che hanno segnato i codici del lifestyle e della società, una geografia fatta di luoghi, club, dj di successo, che in maniera del tutto inconsapevole hanno messo in relazione i consumi, l’underground, l’alta moda, sovrapponendo elementi di una ribellione che passa in maniera disinvolta dalle giacche di cuoio del rock ’n’ roll a Malcom X, da Vivienne Westwood ai chicanos dei club “latin only” di New York.
Il file rouge che ha cementato questo supermarket di stili e tendenze è la musica o, per meglio dire, quei suoni che identificano linguaggi, culture, abbigliamento. Era il 1958 quando Yves S. Laurent, per la Maison Dior, proponeva l’abito a trapezio, Capucci nello stesso anno, vinceva l’Oscar della moda per l’abito scatola.
Immediatamente dopo, Cardin lanciò abiti da astronauta, Courreges quelli che sembravano abiti per pupazzetti e Paco Rabanne utilizzò alluminio e plastica.
La rivolta dello stile per l’appunto: modernismo e futurismo personificati da quelli che presto sarebbero stati chiamati i “Fab Four”, i Beatles, e che Brian Epstein relegando nel fondo di qualche armadio jeans e giubbotti di pelle, aveva vestito con cravatta e giacca, rigorosamente senza bavero, che in breve sarebbe diventata uno dei simboli degli Anni ’60.
Correvano appunto gli Anni ’60, quando il cuore dell’industria della moda si spostò da Parigi a Londra, culla della rivoluzione culturale giovanile. Musica e moda cominciarono a diventare compagni inseparabili, chi lavorava nella moda prima o poi fu costretto a riconoscere il tocco creativo e la sensibilità allo stile tipico degli interpreti jazz e pop.
Moda e musica ancora oggi compagni di viaggio in questa sorta di “ritorno al futuro”? L’industria della moda dipende in maniera organica da ogni innovazione derivi dall’universo parallelo della musica. I parterre delle sfilate sono piene di pop star a cui gli stilisti propongono sempre più di frequente le passarelle.
Tuttavia, per anni, è prevalso il sospetto che estrosità e provocazione fossero sinonimi di scarsa abilità musicale, nonostante David Bowie, Jimi Hendrix… Sospetto mai del tutto sopito se a Londra, negli Anni ’80, agli albori della sua carriera, George O’Dowd non suscitò da subito interesse. Quello che sarebbe stato poi osannato da folle enormi, come Boy George, ha poi fatto del suo trasformismo e della sua capacità camaleontica di interpretare generi diversi, la chiave del suo successo.
Una seconda rivoluzione si sarebbe consumata nel mondo dello stile. Potremmo quasi dire che, quando i musicisti, forti dei propri stilemi, hanno accettato la convivenza con la moda, hanno cominciato a cibarsene.
Moda e musica hanno scatenato insieme autentiche passioni, un’orgia di edonismo, innovazione sregolata, individualismo esasperato, confusione creativa, le stesse pulsioni che continuano a governare il mondo dello stile. “In fondo trovate ci sia un oggetto più cool di una chitarra elettrica?” (Renzo Rosso – Diesel)
*Former Partner Odgers Berndtson
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