Di Paola PERFETTI
Se volessi identificare una nuova tendenza nel mondo del lusso potrei dire che Esclusivo è chi ha una buona idea, la fa apprezzare ad un circolo di estimatori molto piccolo, la mette in produzione in edizioni limitatissime ad opera di una manifattura altamente specializzata. Poi la fa distribuire dai top buyers internazionali o solo in due punti vendita selezionatissimi, il tutto con nonchalance e visione dédéiste.
Qual è il risultato? Il successo senza precedenti all’ultima edizione di Pitti Uomo 2012 che, se è già buona di per sé come concretizzazione del lavoro di una intera stagione di produzione, diventa ancora più gratificante quando si è al debutto. E’ accaduto a Chez Dédé, brand di luxury lifestyle italo-francese degli art directors Daria Reina e Andrea Ferolla dell’omonimo studio di comunicazione: a metà fra amore per il made in Italy (sono fra gli autori del logo per i 150 anni dell’Unità d’Italia) e cuore francese, hanno messo a punto – “per gioco” – una collezione di borse e accessori autoriali di gran classe e dalla spiccata personalità.
“Tutto è originale, concepito da noi. Realizzato da italiani. Il laboratorio adesso si trova a Roma – che lavora fra l’altro con grandissimi brand, molto più grandi di noi, italiani e non, di assoluta eccellenza. Io vorrei arrivare ad avere un prodotto perfetto, su cui possa lavorare di totale creatività. La creatività è completamente nostra, tutti i disegni – della borsa e sulla borsa – sono nostri” – mi spiega Daria Reina al telefono.
“Al momento stiamo già creando una collezione di sciarpe. Abbiamo delle borse più piccole, le Passepartout che sono porta computer, sono vissute anche in modo molto maschile ma perfette anche per le donne che non hanno bisogno di una borsa troppo femminile perché hanno un’allure sportiva. A proposito dei bracciali… stiamo creando una collezione sempre dal tono “NON CI SI PRENDE TROPPO SUL SERIO”, perfetta per chi ama indossare un pezzo originale e sicuramente fatto in Italia”, prosegue.
L’input della nostra chiacchierata Milano-Roma è partito dalla Milano Fashion Week, da Isella Marchcchi, docente dell’Istituto Marangoni e ufficio stampa del brand: mi ha mostrato una delle pregiatissime Grand Sac di Chez Dédé. Ma ci sono anche St Barth, Salina, Cap Ferrat, Knokke… Luoghi di vacanza, cartoline del cuore di posti amati e preziosi applicati con una grafica ineccepibile a materiali preziossissimi.
Sì ma… come è nato Chez Dedé?
Chez Dédé è nato come un gioco, un po’ con uno “spirito da bar”, fra un aperitivo e una colazione in giro per il mondo. E’ un nome che evoca tutto fuorché un brand e nasce dall’unione del nome mio e quello di mio marito (Andrea Ferolla, ndr), anime creative d Chez Dédé il quale, prima di essere un prodotto, è nato come un marchio di lifestyle. Da sempre noi ci occupiamo di grafica: siamo art direction per clienti nell’ambito del lusso. Otto anni fa lo abbiamo pensato come valvola di sfogo per tutte le cose che ci piace fare, senza avere un cliente-committente con le sue indicazioni, un suo brief. Poi è diventato il nostro “giocattolo preferito”: Dédé è il diminutivo che si usa nel Sud della Francia sia per il mio nome, Daria, che per quello di Andrea, e ci rappresenta al 100%.
Dalla passione per la moda al logo dei 150 anni d’Italia. Perché e come ci siete arrivati?
La passione della moda l’abbiamo sempre avuta. Io ho frequentato l’Accademia di Costume e Moda, da dove esco. Andrea è laureato in Storia dell’Arte e ha sempre avuto questa propensione. Era un suo sogno nel cassetto che si sta spontaneamente realizzando, mentre la passione per la grafica inizialmente è nata quasi più come volontà – diciamo – per riuscire a sbarcare il lunario. I nostri percorsi di studio, per quanto diversi, si sono trovati uniti. Io mi sono data alla moda ma anche alla grafica forse per il mondo “normale” che lo contiene: la moda è sempre sopra le righe mentre il mondo della grafica e dell’art direction tout court è un po’ più umanizzato. Ma non abbiamo mai abbandonato il nostro studio (Ferolla Reina, ndr). In sintesi: il know how accumulato in quell’ambito lo stiamo trasferendo al mondo del fashion, pur con un approccio che rimane grafico. Giochiamo con le cose che mastichiamo bene.
Se volessimo identificare un prodotto clou della vostra produzione io andrei alle borse….
Assolutamente sì: i Grand Sac ci calzano a pennello. Io sono un’appassionata di borse. Ne ho di ogni forma, foggia, colore, marca, anche prese su isole greche fatte dalla nonnetta del posto. Per cui la prima idea era ovviamente quella di farne una nostra, con delle caratteristiche che ancora non avevamo trovato in nessuna.
E adesso, che cos’hanno di diverso le vostre borse?
Beh le nostre hanno una storia, tant’ che ognuna non è disponibile in un’alternativa di colore, stoffa… Ogni modello, ogni spiaggia, ha la sua perché è come se fosse l’interpretazione di quel luogo, in forma di borsa. Ad esempio: per noi la Saint Barth ha questa stoffa cotone e lino con questa stampa vintage che riassume nella sua texture, forma, colori lo spirito del luogo. Tra l’altro, solo andando in un posto riusciamo a fare un nuovo modello di borsa. Non facciamo borse di luoghi che non conosciamo.
Sono tutti prodotti altamente made in Italy: ma perché il nome è francese, a parte il vezzeggiativo fra coniugi?
Per diversi motivi. Il primo fra tutti è perché io ho la doppia nazionalità, sono sia italiana che francese. Ho metà della famiglia in Francia e sono cresciuta in Belgio: perciò ho una cultura francofona che mi accompagna da sempre. Mio marito, invece, è completamente italiano, nato a Gorizia e fiero della sua italianità – quanto lo sono io, peraltro – , però ha sempre avuto una propensione verso la cultura francese. Il nome viene anche da quel gusto molto nonchalant che hanno i francesi, che forse agli italiani manca… I francesi hanno quasi difficoltà a fare cose brutte, io parlo di locali, colpi d’occhio… Ultimamente siamo andati a Parigi e siamo passati davanti ad una scuola materna che aveva un ingresso meraviglioso: ecco, è difficile in Italia incrociare l’ingresso di un asilo così.
Allo stato attuale, il sistema dei mercati, compreso quello del lusso, non è dei più incoraggianti. Voi avete scelto di distribuire i vostri prodotti per canali abbastanza di nicchia. Puntereste mai sui grandi corner in shop, sui grandi magazzini stile La Rinascente, oppure per voi, dal momento in cui è nato il brand in avanti, la scelta è quella di rimanere per un pubblico per pochissimi e per chi vi conosce?
L’idea di avere un controllo così forte sulla distribuzione è dovuto ad una nostra precisa volontà di tenere sott’occhio il messaggio che viene veicolato e al quale noi teniamo molto perché coincide con noi stessi. Non è solo il nostro brand ma siamo noi che parliamo.
Sicuramente l’idea è quello di conservare il marchio come quasi introvabile: vorremmo controllare personalmente i punti vendita, tant’è che anche in fiera a Pitti abbiamo voluto personalmente essere presenti per conoscere i venditori e capire che tipo di persone sono, che negozi hanno… insomma, saperne di più. La volontà è di mantenere un negozio – massimo due per la vendita nelle piccole città: questo è un aspetto su cui siamo molto allineati mio marito ed io. Non a caso Campomarzio 70 adesso si occuperà della nostra distribuzione: è un modo di preservare il brand, di non farlo diventare una parabola ascendente e discendente con tempi stretti visto che per noi questa vuole essere innanzitutto una storia. Quelli che le racconto non ne sono che i primi capitoli, ma già da ora si può capire che storia potrebbe diventare.
E non volete essere ovunque…
Sulla grande distribuzione-La Rinascente le rispondo : com’è oggi La Rinascente, non ci interessa. Poi, dobbiamo considerare che La Rinascente di Milano è già cosa diversa da La Rinascente di Roma : hanno un modo diverso di fare comunicazione. Un domani quella meneghina dovesse fare delle scelte più coraggiose, puntare più un alto, un po’ come il Liberty di Londra… allora sì.
Il vostro grande debutto è avvenuto a Pitti 2012. Allora avete riscosso uno straordinario successo fra buyers internazionali e volti noti dello spettacolo. Dove andrà dopo questo grande lancio C.D., e c’è già qualche nome che possa essere testimonial naturale del vostro prodotto?
Su questo stiamo lavorando. La domanda del “VIP” ce la siamo posta, ma la difficoltà sta nel trovare qualcuno che incarni il nostro spirito perché, soprattutto nel nostro caso, noi siamo direttori dell’ufficio creativo e coincidiamo con il prodotto finito quindi dovremmo identificare qualcuno che ci somiglia nello spirito, nell’allure, nel modo di porsi, di vestire, nelle scelte, anche, di lavoro o di vita … a tutti i livelli. E devo dire che in questa fase è molto difficile identificare. Qualcuno si è proposto di indossare o avere i nostri accessori e la proposta ovviamente ci ha lusingati, ma l’aspetto che Mayrmente ci ha galvanizzato è stato l’interesse del mercato giapponese che ha riversato su di noi in modo davvero sorprendente: avevamo i giapponesi e i buyer dei più grandi store nipponici che erano in fila ad aspettare di parlare con noi .. è stata la cosa che forse ci ha impressionato positivamente, tanto più che nutriamo una forte stima dei buyer giapponesi. I giapponesi hanno quel gusto sofisticato che ci ha lusingati… E poi, come non essere lieti nell’avere i buyer di Takashimaya che bussano alla tua porta?