di Davide PASSONI
Diciamolo subito: partecipare anche solo da spettatori alla Dubai World Cup, la gara di equitazione che, per l’emirato, è LA GARA, è un’esperienza che non si dimentica. Ospiti di Longines, maison orologiera che lega il suo nome, tra gli altri, agli sport equestri e che sponsorizza la manifestazione, abbiamo capito perché per questo evento di fine March l’emirato impazzisce e per un giorno si ferma, letteralmente.
Intanto la location. Il Meydan Racecourse è un ippodromo che sembra un aeroporto. O meglio, è una vera città dello sport il cui cuore è la parte dedicata ai cavalli, con due tracciati di gara e tribune coperte e climatizzate, palchi d’onore e reali che, visti da bordo pista, impressionano per la loro imponenza e altezza. Di più e meglio di qualsiasi stadio di calcio. Davanti prato, sudore, nitriti e frustate; dietro lounge lussuosissime, ascensori, scale mobili, sale, salette e palchi reali in un trionfo di modernità e architettura che profuma di dollari.
Poi la passione. Detto che per accedere è necessario passare delle verifiche di sicurezza da, appunto, aeroporto, una volta dentro la fauna che si incontra è trasversale. La fanno da padroni loro, i facoltosi locali, che si muovono a gruppi più o meno numerosi avvolti nelle tuniche bianche che, a vederli dall’alto mentre seguono i cavalli in parata, sembrano quasi girare intorno alla pietra nera de La Mecca. Poi gli occidentali, inglesi in gran parte ma non solo. O meglio, le occidentali, con i loro cappellini in perfetto stile Ascot che vanno dal raffinato allo stravagante, giù giù fino al pacchiano e al ridicolo. E poi, nel prato, schiere di gente che potremmo definire comune: famiglie con bambini, gruppi di amici, semplici appassionati che per un giorno, gomito a gomito con i nababbi e con lo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktum, emiro di Dubai, primo ministro e vicepresidente degli Emirati Arabi Uniti, trovano nella passione per i cavalli un punto di contatto che li avvicina più di quanto le differenze sociali possano fare.
Lo abbiamo toccato con mano quando, in occasione della gara numero 8 sponsorizzata da Longines, abbiamo avuto il privilegio di scendere nell’area riservata alla “horse parade”, l’anello a bordo pista nella zona del podio dove i fantini montano sui cavalli, dopo che questi si sono mostrati al pubblico in parata, in tutta la loro forza. Stare a due metri da queste bestie da milioni di dollari, scambiare due parole con i fantini in tensione pre-gara, vedere la goduria brillare nello sguardo dei magnati arabi che si mangiano i cavalli con gli occhi è un’esperienza che non si dimentica. Così come seguire la gara con i gomiti appoggiati alla balaustra a bordo pista, sentendo gli sbuffi dei 15 purosangue in gara, le urla dei fantini e il tuono di 60 zoccoli lanciati sull’erba a tutta velocità.
Infine i cavalli, l’agonismo, la corsa. Un evento che vive dalle prime luci dell’alba ma che si consuma tra il pomeriggio e la sera, in uno snocciolarsi di gare che culminano con l’ultima, la nona, la Dubai World Cup, appunto: due chilometri di adrenalina pura per cavalli, fantini, allenatori, proprietari e pubblico. Due chilometri a rotta di collo sull’erba, con i cavalli che, lanciati, possono arrivare a 60 chilometri all’ora e che il vincitore di quest’anno, African Story, portato dal fantino Silvestre De Sousa, ha coperto in poco più di due minuti. Due minuti che, per questo evento, valgono un montepremi di 10 milioni di dollari (6 per il primo classificato) e l’ingresso nella hall of fame di una delle gare di galoppo più importanti e prestigiose del mondo.
Che poi il cavallo vincente appartenga alla scuderia Godolphin, di proprietà dello sceicco Al Maktum è solo suggestivo: nessuno si azzardi a parlare di combine, anzi… Questa vittoria è riuscita a far entusiasmare il padrone di casa, che su ogni ritratto ufficiale e nelle fotografie compare serio, austero, diremmo quasi incazzato, come lo abbiamo visto anche prima della gara. Salvo poi, sul palco delle premiazioni, sorridere, persino ridere e improvvisare un balletto. Perdonateci la banalità, ma pensiamo non fosse felice per il premio, lui che ha un patrimonio stimato di 16 miliardi di dollari. È che, in fondo, è un arabo come tutti con la passione viscerale dei cavalli. Solo che, a differenza degli altri arabi come tutti, si può comprare i migliori cavalli, fantini, allenatori, stalle, allevamenti, ippodromi, da Dubai all’Argentina.
Vedremo nel 2015 che gara sarà. Intanto, questo 2014 ce lo siamo portato a casa come un ricordo incancellabile, anche noi che di cavalli, lo confessiamo, capiamo ben poco ma che siamo forse più bravi a entrare in empatia con le passioni di un popolo, a modo suo, straordinario.