La parola crisi, scritta in cinese, è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità. A dirlo, forse scoprendo un po’ l’acqua calda, fu l’allora candidato alla Presidenza degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, nel suo discorso a Indianapolis del 1959. Come ognuno di noi ben sa, sono le guerre, reali, economiche, di potere o che dir si voglia, a fare piazza pulita del surplus accumulato in passato. Chi resterà in piedi, i più bravi o i più coraggiosi, una volta sbollita la bufera si troverà tanto spazio intorno, così tanto da riempire del proprio know-how e delle sue forze lo spazio lasciato vuoto dal nemico.
Un nemico che si può chiamare in tanti modi. Un combattente che, in alcune situazioni, quelle che ci interessano, ha il nome di piccoli-grandi brand, se non interi Gruppi del fashion. E di questi: chi sta vincendo la guerra della crisi?
Per quanto risalire la china sia difficile, per quanto le speranze di molti intenditori siano affidate ad un tardo 2013 (persino un “grande vecchio” del Made in Italy, del lusso e della moda come Nino Cerruti ce l’aveva confidato), comunque c’è già una lista dei vincitori.
Secondo una recente indagine di Pambianco, infatti, dopo sei anni sofferti ed un 2011 da minimo storico, l’Italia è ancora terreno di conquista e “preda ambita” per le attività di Merger & Acquisition (M&A).
Solo nel 2012 sono state 115 (qualcuno riporta 114), +25% delle 91 siglate nel 2011, di cui ben 35 realizzate solo nel secondo trimestre dell’anno appena concluso.
Fusioni, acquisizioni, cambi al vertice e nuove proprietà. Alla fine dei giochi molte cose saranno cambiate, ma quello che resterà sarà il ricordo di un’Italia ricercata da investitori, italiani nel Belpaese (24 operazioni, pari al 21% del totale), stranieri per stranieri (68 operazioni, pari al 60% del totale), stranieri dentro i confini nazionali (13 operazioni, pari al 11% del totale) con i fondi di Private equity come operatori più attivi del mercato (loro il numero più elevato di operazioni: 25, pari al 22% del totale).
Chi è chi. La moda domina le operazioni. Chi non ricorda l’avventura di Valentino, ceduto da Permira a Mayhoola, società di investimento che fa capo al fondo sovrano del Qatar? Le prime indiscrezioni arrivarono nel July del 2012 per poi concretizzarsi giusto qualche mese dopo cui si andarono ad aggiungere l’1% di LVMH, il 5,2% di Tiffany ed il “pericolo Costa Smeralda“.
Quindi, Marni. Era fine anno quando entrò a far parte del gruppo Diesel di Renzo Rosso (holding Only the Brave che vanta anche le licenze di Cavalli e Dsquared2).
A dirla tutta, è l’occhialeria italiana a restare uno dei settori più eccellenti, nella manifattura e nella finanza.
Luxottica resta salda nella sua posizione di leader dell’eccellenza anche in piena crisi, anche con l’acquisito della catena Sun Planet, il marchio Alain Mikli e una quota di minoranza di Salmoiraghi&Viganò.
Marcolin, invece, è stata acquisita dal fondo di Private equity Pai. Merger & Acquisition a go-go.
Insomma, il lusso di non soccombere alla crisi sventola bandiera Italiana. Non bianca.
Paola PERFETTI
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