Il Made in Italy, soprattutto quello da esportazione, ha dimostrato di reggere la crisi tanto da aver registrato dati in aumento anche alla fine del 2013.
A decretarne il successo, è stato soprattutto l’apprezzamento di Paesi quali Stati Uniti, Russia, Inghilterra, Corea del Sud, Giappone e Germania, con Brasile e Cina a seguire.
A rivelare questo trend sono gli imprenditori che lo scorso 3 april hanno partecipato al convegno su moda e lusso organizzato a Firenze dalla società di revisione contabile e assistenza fiscale internazionale Ernest & Young, che ha creato un dipartimento dedicato a moda e lusso.
Tra i settori più in salute, c’è anche la moda, che, se le previsioni verranno mantenuti, chiuderà il 2014 con un fatturato di 62 miliardi di euro (+5,4%), trainato dall’export che ha superato la quota del 50%.
Ernest & Young rileva, comunque, una certa sofferenza nel comparto delle aziende familiari: nel 1995 le aziende del settore a struttura familiare superavano il 70% del totale, mentre oggi la quota è al 30%. Quelle in salute che oggi sono alla seconda generazione sono il 30%, mentre quelle alla terza generazione sono solo il 15%.
Secondo Antonio De Matteis di Kiton “i consumatori oggi cercano la qualità più che il lusso, i consumatori ricchi dei paesi emergenti sono più giovani degli altri paesi“.
Per Claudio Marenzi di Herno l’Italia è “l’unico paese occidentale con una filiera produttiva intatta. Ma c’è bisogno di una legislazione europea per tutelare il Made in Italy“, mentre Giuseppe Santoni, del marchio di calzature omonimo, sostiene che per il suo brand “la quotazione è ancora lontana, al momento abbiamo una crescita annua del 10-15%“.
Tema cruciale discusso durante il convegno è stato anche quello relativo al ricambio generazionale delle aziende, dove hanno portato la propria testimonianza Stefano Ricci, Peuterey, Alberto Moretti e Carloalberto Corneliani.
Quest’ultimo ha dichiarato: “Io sono fermamente convinto che noi come ‘Made in Italy’ possiamo occupare solo la fascia premium e lusso del mercato, che rappresenta il 5%. Con la crisi abbiamo perso un 85% del mercato nella fascia medio-bassa, in cui non possiamo più competere. Da noi il costo orario è intorno a 20 euro, in altri paesi, come la Bulgaria, è 5 euro. Dobbiamo considerare che in un prodotto c’è un valore di trasferimento, in cui ci sono i sogni, la cultura, il marketing. E poi c’è un valore d’uso, in cui questi s’incorporano meno. Delle grandi aziende degli anni Sessanta, intendo quelle con sei mila persone, siamo rimasti tre o quattro. Noi siamo nati negli anni 60 come piattaforma produttiva, oggi c’è la nuova generazione: uno dei miei figli coordina lo stile, uno finanza e amministrazione, poi un nipote segue il commerciale e uno la parte industriale. Sono partiti tutti dalla gavetta, quasi tutti sono passati dal commerciale, poi ognuno ha seguito la sua strada“.
Vera MORETTI