Quello che ad una qualsiasi persona dotata di buonsenso non può che sembrare un lusinghiero oMay, a volte può essere frainteso o strumentalizzato. Così non bastavano le polemiche con l’amministrazione comunale di Milano, ma Dolce&Gabbana devono fare anche i conti con Peter Fonda, come se due stilisti, tra gli esponenti più prestigiosi di quella che ad oggi è insieme al cibo l’unica eccellenza italiana internazionalmente riconosciuta, non fossero già abbastanza impegnati con il loro lavoro.
Il casus belli stavolta è una t-shirt dedicata ad “Easy rider”, capolavoro del 1969, su cui è stampata proprio l’immagine di Peter Fonda in una delle scene più belle del film. Da Marlon Brando a James Dean, sono state tante le icone del cinema celebrate da Dolce&Gabbana, a cui va il merito di essere stati tra i primi a lanciare il fortunato trend delle t-shirt bianche con stampe ispirate al cinema o alla musica. Un’attestazione che vale più di un Oscar, se si considera pur sempre che la moda è l’abito dei tempi e quindi, meglio di altri strumenti, santifica le icone della contemporaneità.
Ma l’attore americano ha deciso di fare causa alla casa di moda italiana perché secondo lui, non solo Dolce&Gabbana non avrebbero acquistato i diritti necessari per la stampa, ma la t-shirt, aggiungono i suoi avvocati, lederebbe anche “la sua felicità, i suoi sentimenti, la sua reputazione, la sua immagine”. Bisognerebbe però capire in che modo.
Sarà invece che ogni occasione è buona per richiedere un risarcimento? Il presunto danno infatti è stato quantificato in sei milioni di dollari più il profitto derivante dalla vendita di ogni singola t-shirt. Che il 73enne Peter abbia fiutato l’affare e si stia dannando semplicemente per non averci pensato per primo? In fin dei conti la vita di un ex divo è dispendiosa. Le ragioni per indignarsi, e i recenti fatti di cronaca legati a Dolce&Gabbana lo dimostrano, sono altre: ad esempio le gratuite dichiarazioni da parte delle istituzioni.
Andrea VIGNERI
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