Altro che Canto di Natale. Altro che Scrooge londinese lasciato alle favole di Charles Dickens. Il tirchio-medio, il prototipo del “less spender”, ma solo quando si tratta di buone cause, vive tra le pareti di casa nostra.
Finito Natale, messi da parte i buoni sentimenti? Macché, pare che quelli mancassero anche prima. Si dice “pare” perché l’accusa di “tirchieria” arriva addirittura da uno studio scientifico, quello del Centro Studi Lang di Milano.
La denuncia è chiara: l’Italia è il meno generoso tra i Paesi Occidentali quando si tratta di occasioni benefiche. Dopo di lui? Siamo proprio all’ultimo posto tra i Paesi “che valgono”.
Nella classifica mondiale della beneficenza del 2011 redatta dalla britannica Charities Aid Foundation (www.cafonline.org), infatti, l’’Italia sarebbe al 104 mo posto. Ultima dei cosiddetti “Paesi industrializzati”, rispetto ad un 2010 in cui il Belpaese era appena al 29 mo gradino del podio.
Ci prodighiamo in buone azioni, è vero. Lo facciamo da sempre, per tradizione. Nulla da obiettare. Il problema, secondo la ricerca, sta in due fattori: il cosiddetto “troppo che stroppia” e quello che definiremmo “l’effetto colabrodo”.
Di associazioni, organizzazioni no-profit, fondazioni private, aiuti arrivati da aziende, banche, filantropi singoli o intere famiglie ne vantiamo a bizzeffe, è vero, ma il troppo si si disperde in un marasma di Onlus ed iniziative singole che non godono dei contributi statali: le agevolazioni fiscali concesse si attestano appena al 10% del reddito con un massimo di € 70.000,00.
Senza calcolare che nell’oceano di occasioni ci sono, come sempre, quelli che se ne approfittano: ambienti talvolta troppo politicizzati, scarsa trasparenza nell’impiego dei fondi raccolti, poco controllo sull’iter dei proventi e ancor di meno sul’efficacia definitiva dei progetti charity rendono vane le buone intenzioni.
Sarà la crisi economica e dei costumi? “Serve un cambiamento, un salto culturale” – dice Tiziano Tazzi, presidente del Centro Studi Lang.
Per questa ragione, il Centro meneghino ha proposto un nuovo modello di beneficenza scientifica, la “strategic philanthropy”, da anni adottata negli Stati Uniti e che si basa sulla fondamentale differenza tra due concetti, come ci spiega Laura Olivetti della Fondazione Adriano Olivetti: “Esiste una sostanziale differenza tra carità e filantropia […] la prima si occupa di soddisfare i bisogni primari di individui e comunità, la seconda collabora ad uno sviluppo armonico della società. In questa ottica sono convinta che un approccio più scientifico possa giovare alla filantropia nel nostro Paese ed anche contribuire a fare chiarezza nell’intricato panorama delle Fondazioni italiane che anche all’estero vengono percepite come realtà differenti dal modello classico di fondazione“.
I “motori di miglioramento”? Strategie che hanno il nome di: creare nuove opportunità, durare nel tempo, essere capaci di andare alla radice del problema cercando la rimozione delle cause.
Non una diffusione generalizzata del denaro, dunque. Per fare davvero del bene servono ricerche focalizzate, progettazione creativa, strategie di provata efficacia, esecuzione accurata ed approfondito follow-up, ovvero: puntare a finanziamenti pluriennali, senza temere l’aumento delle spese generali; programmare scientificamente gli interventi nel lungo periodo; puntare al “Finanziamento Razionale”, cioè erogare più per i risultati misurabili che per le attività organizzative di realizzazione; fornire consulenza strategica, formazione e talent management; individuare quei fattori capaci di rimuovere le cause e moltiplicare i benefici; prevedere l’impatto sulla comunità su cui si interviene; attuare una precisa rendicontazione periodica dei risultati.
Il Centro Studi Lang ha intenzione di fare esattamente questo: operare come agenzia di consulenza per tutti i potenziali soggetti filantropici siano essi banche, aziende, fondazioni, organizzazioni onlus, famiglie. Sarebbe l’unica realtà operante in Italia a lavorare così. Inoltre, tra le sue iniziative c’è l’istituzione di un corso per la creazione della figura del “philantropy advisor”, cioè dello specialista che può operare anche all’interno di società o organizzazioni per un approccio scientifico all’attività sociale o di beneficenza.
Sembriamo forse di fronte ad un business plan anziché ad un evento di cuore? Forse, ma anche il muscolo del miocardio ha le sue valvole e le sue regole per evitare deflussi letali e poco “salutari”.
Paola PERFETTI
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