di Paola PERFETTI
E’ trascorsa una settimana da quando ho risposto all’invito di Marina Abramovic per provare, prima in mezzo ad un gruppo di selezionati 21 giornalisti, il suo The Abramovic Method. In molti altri, prima di me, hanno raccontato il prima e il dove, l’incontro in conferenza stampa – presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano – e il momento performativo durato 2 ore, sotto la guida dell’artista, di Rebecca e Lindsay, le sue assistenti, degli studenti dell’Accademia di Brera, con i quali è stato messo a punto un lungo progetto, del curatore della mostra, il giovane ed emozionato Eugenio Viola che ha lavorato per mesi insieme a Diego Sileo. Ma solo ora credo di avere la lucidità per dirvi che cos’è stato, per me, il The Abramovic Method.
Posso dirvi intanto che ho resistito più dell’assessore al Comune di Milano Stefano Boeri, caduto come una pera, svenuto durante la sua prova nella serata dedicata ai politici.
Perché Marina ha coinvolto tutti, e continuerà a farlo fino al 10 June 2012 al PAC di Milano, Padiglione d’Arte Contemporanea (proprio accanto ai Giardini di via Palestro, numero 14).
L’artista che più di ogni altra ha rivoluzionato il concetto di arte libera, di comunicazione, di arte per tutti e di pubblico come non solo spettatore ma interprete primo dell’espressione creativa, ha messo a punto un metodo magnetico e un po’ sciamanico, dove le regole per la buona riuscita sono assai rigide ma terribilmente risolutive.
Punto primo. Il contratto. Esiste un vincolo di due ore, una promessa che impegna il pubblico, 21 persone per volta, a provare il Metodo. Nessun legame con il tempo o con il mondo esterno. Riposti negli armadietti tablet, smartphone, oggetti personali e gioielli, Marina ti invita ad indossare un camice e a rilassarti. E’ quello il punto di transizione ed il simbolo del passaggio da osservatore a partecipante.
Punto secondo. La preparazione. Gli esperti di yoga o chi si sia cimentato con le tecniche di rilassamento sanno quanto sgranchire le membra, aprire i sensi e regolare il respiro siano funzionali ad essere recettivi verso ogni input esterno.
Punto terzo. Provare gli oggetti in legno misti a magneti e cristalli creati ad hoc da Marina nelle posizioni di sdraiati, seduti, in piedi. L’unico punto di riferimento sarà il TOC – TOC di un metronomo dal battito non del tutto regolare. Forse.
Punto quarto. Registrare le emozioni a caldo su un taccuino. E se vi dicessi che non mi sono accorta che la copertina era rivestita di plastica, e che ho scritto come un fiume in piena senza avere la benché minima percezione, al tatto o alla vista, della presenza della cover?
Emozioni forti, sentimenti contrastanti. Sdraiata sotto il catafalco in rame con tre cristalli che penzolavano dall’alto e struttura riflettente.. beh, non mi sono sentita propriamente a mio agio.
Seduta sullo scrano stile trono medievale ho avuto l’impressione di avere l’obiettivo dei fotografi puntato tutto il tempo e scariche di vento mi hanno fatto balenare l’idea di aprire gli occhi e di chiedere di interrompere quegli spifferi. Peccato che non ce ne fossero…
“Tutta colpa” dei minerali scelti dall’artista, fra cui la selenite che, per sua stessa ammissione, cattura meglio l’energia.
E sotto il magnete, nella gabbia di rame… che strani flash! Non prendetemi per “pazza”: la stessa Abramovic ha ammesso di non conoscere il risultato finale ed al termine della prova non avete idea dei commenti a caldo dei colleghi performer…
Marina non è nuova a Milano, anzi, possiamo dire che la sua grande opera l’ha tenuta a battesimo proprio la città della Madonnina. Era il 1974 quando espone attirando l’attenzione dei maestri della critica dell’arte contemporanea come Gillo Dorfles, Germano Celant, Achille Bonito Oliva, Renato Barilli, giusto per fare subito qualche nome.
Da allora di anni ne sono passati quasi 40, ma ancora oggi Marina Abramovic è uno dei personaggi più affascinanti del nostro tempo, la cui vicenda artistico-esistenziale non può prescindere dalla sua storia personale come dalla Storia in senso più ampio e dalla evoluzione delle arti visive-performative.
Per questo e in tutto questo periodo, preziosi committenti hanno messo a punto un fitto calendario di appuntamenti e di occasioni per conoscere da vicino il messaggio della Abramovic.
Dalla proiezione del film Marina Abramovic, The Performance is Present alla esposizione alla Galleria Lia Rumma (la mostra si intitola Con Gli Occhi Chiusi e racconta l’ascesa al vulcano Stromboli come un anelito alla felicità); dal supporto di Tod’s e Fondazione Furla – The Abramovic Method-Un video documentario di Giada Colagrande è il docu-film realizzato con il sostegno di Fondazione Furla e prodotto da Art + Vibes e Collateral Films; fino alla seconda parte del catalogo con il riassunto di The Method: questo momento meneghino rappresenta il now and then della produzione di Marina Abramovic.
Il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 1997 è tornato a ruggire per affrontare il tema del tempo e enfatizzare la posizione dello spettatore nell’ambivalente ruolo di osservatore e osservato. “Marina Abramović ha scelto di mettere alla prova il pubblico anche nell’atto apparentemente semplice dell’osservazione distante: una serie di telescopi, messi a disposizione da AURIGA, permetteranno ai visitatori di osservare dal punto di vista macroscopico e microscopico coloro i quali sceglieranno di cimentarsi con le interactive installations” – spiegano gli organizzatori di 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE.
Milano, dunque, come climax di un percorso durato 3 mesi, sperimentato dalla estenuante performance del MoMa di New Work nel 2012 (The Artist is Present): allora il pubblico poteva sedersi in muto colloquio davanti all’artista per tutto il tempo di apertura del museo. Qui al PAC, indossando il camicie bianco “del Metodo” si diventa attore principale di una rivoluzionaria maniera di intendere il tempo, lo spazio, l’atto compositivo. Non più oggetto ma soggetto. Punto di partenza per un progetto più ampio che porterà alla messa a punto di un centro ah hoc dedicato alla performance art. La sua eredità per le generazioni future.
E’ arte tutta questa? Secondo Marina Abramovic, anzi, per sua diretta risposta in conferenza stampa, l’espressione artistica può essere qualunque cosa purché riferita all’arte visiva ed espressa in un contenitore artistico. La sua produzione è una costruzione fisica e mentale che accade in un preciso momento ed in un dato luogo di fronte ad un pubblico, dove avviene un dialogo – non a caso – magnetico.
Detto questo, qualcuno non rimarrà soddisfatto della risposta, ma per me, e per chi l’ha provata, l’esperienza varrà più di ogni altro interrogativo.
Marina Abramovic
The Abramovic Method
21 March-10 June 2012
Padiglione d’Arte Contemporanea, via Palestro 14 Milano
Per orari, biglietti, informazioni è a disposizione il sito The Marina Abramovic Method
Post produzione video | Francesca Scarabelli