Non nascondiamocelo: la nautica italiana non sta attraversando un momento particolarmente felice. Anche se passando in questi giorni dal Salone Nautico di Genova non sembrano risparmiarsi lustrini, champagne e scafi tirati a lucido, la realtà del mercato di casa nostra non è proprio al suo zenit in questo disgraziato 2012.
Dalla tavola rotonda “International Boating Forum” organizzata da UCINA, l’associazione di Confindustria che raggruppa le imprese della nautica, in concomitanza con l’avvio del Salone, sono emersi dati tutt’altro che incoraggianti: le previsioni per il 2012 indicano un calo in termini globali (produzione nazionale sommata all’import) variabile tra il 15% e il 25% rispetto al 2011, che pure non è stato un anno memorabile.
Quello che però impressiona è il trend di discesa del fatturato dall’inizio della crisi a oggi: nel 2008 era stato di circa 6,4 miliardi di euro (5 miliardi di produzione italiana) per passare nel 2011 a 3,4 e puntare dritto, a fine 2012, a una quota tra i 2,7-2,8 miliardi (di cui circa 2,5 miliardi per la sola produzione nazionale). Ovvero un taglio netto del 55% circa in 4 anni. Roba da far tremare i polsi.
E se nell’incontro di UCINA si è tenuto a sottolineare come la crisi della nautica non sia solo un fattore nostro nazionale – si è citato il caso di Brunswick, il più grande costruttore di yacht al mondo, che dai 2 miliardi di dollari di fatturato del 2008 è passato ai 400 milioni del 2011 -, il ragionare nell’ottica di “mal comune mezzo gaudio” non funziona quando si parla di un settore così vitale per l’economia italiana.
Basta solo un’altro dato, oltre a quello del crollo del fatturato: se nel 2008 le aziende nautiche italiane avevano realizzato il 57% del loro fatturato nel nostro Paese, il 2012 registrerà un flessione del 15% sul mercato interno (dati UCINA), con una possibile ricaduta sull’occupazione di almeno 20mila posti di lavoro in meno. Ossia: esportare o morire.
E nemmeno questa è una novità visto che, parlando con gli operatori del settore, quelli che ormai puntano quasi solo al mercato estero sono la grande totalità. Portafoglio ordini pieno per i prossimi anni sì, ma solo per una clientela estera e quasi esclusivamente extraeuropea. Il mercato italiano ormai non esiste più, stretto tra controlli fiscali asfissianti nei confronti dei proprietari di barche, tasse di stazionamento e balzelli assortiti sul lusso che altro non fanno se non deprimere i consumi. A scapito anche delle casse dell’erario, naturalmente, che si sono viste drenare un bel po’ di Iva derivante dai mancati acquisti di natanti. Lungimiranza fiscale… puntare al poco per smenarci molto.
Che fare dunque? Secondo gli esperti intervenuti alla tavola rotonda, sarebbe opportuno armonizzare le regole a livello europeo, soprattutto nell’area del Mediterraneo, tanto dal punto di vista fiscale, tanto da quello della produzione per quanto riguarda la sicurezza, oltre a modificare il redditometro per la nautica e la tassa di stazionamento. Basterà? Al business l’ardua sentenza.
Lascia un commento