Trent’anni. Trent’anni senza che alcuna mostra venisse allestita all’interno degli appartamenti regali di Palazzo Ducale a Venezia. Tanto è passato ed un secolo e mezzo ci è voluto perché Monsieur Manet e famiglia, la bella compagna di una vita e madre di Lèon, Suzanne Leenhoff, tornassero a passeggiare per le sale patrizie riccamente decorate, affacciate su Piazza San Marco, nel Palazzo del Doge.
La luce della Laguna arriva ancora di taglio dagli imponenti finestroni gotici. Il Bello dell’arte italiana, i Tintoretto, i Tiziano, i Veronese ci guardano ancora dall’alto. Le effigi degli avi con l’aria guardinga, i camini massicci, le mappe del mondo conosciuto e conquistato dalla Serenissima sono ancora lì e a Manet, di certo, non erano passati inosservati. Non avrà dissimulato stupore e meraviglia, come sicuramente avrà provato un moto di giubilo, il buon Eduard nel trovare, in quei luoghi, gli Andrea del Sarto, i Giorgione, i Carpaccio, i Lorenzo Lotto, giusto per far subito qualche nome, ovvero alcuni dei Mayri artisti italiani che componevano la Collezione Correr allora allestita in quelle sale. E’ altamente probabile, questa la tesi della mostra, che quelle composizioni, quei temi, quelle storie, l’iconologia ed i personaggi rimanessero per sempre incastonati nei suoi occhi, nei suoi pennelli, nella sua Arte. Perché Manet ha dipinto e rivoluzionato la Storia dell’Arte partendo dall’Italia.
E’ questa prova provata, con 80 opere in mostra e nove sezioni ricche di dipinti, disegni, documenti, che la Direttrice dei Musei Civici Veneziani Gabriella Belli ed il Direttore del Museo D’Orsay di Parigi Guy Cogeval danno il benvenuto a Manet. Ritorno a Parigi.
Manet, per il ponte del 25 april e fino al 18 August 2013, aspettando un po’ pure l’inaugurazione della Biennale di Arte di Venezia, è tornato in città per dire a gran voce, con la sua parola che sono le sue tele (ritratti, marine, nature morte, pastorali), quello che per decenni la critica internazionale e gli studiosi del “meno impressionista degli impressionisti” hanno come taciuto: non lo spagnolo, non l’ispanismo di Velàzquez, Goya come unica fonte di modernità e ragione di stimolo, bensì l’italiano e le sue variazioni sono stati la sua lingua di pittura. Il veneziano dei tre soggiorni nel Belpaese, nel 1853, nel 1857 e nel 1874; il fiorentino e il romano dei successivi viaggi.
Ma dunque, non è che uno dei musei più gettonati dai turisti in visita Parigi, il Museo D’Orsay, sia rimasto sguarnito di alcuni dei suoi pezzi più prestigiosi, ben 70 come numero? L’idea ha dell’impossibile ma la risposta è sì: le opere si sono mosse per ritrovare Manet a Venezia sono per lo più francesi (Holllande così volle) ma anche provenienti dal Courtald Gallery di Londra, il Metropolitan Museum di New York, la Bibliothéque Nationale de France ed altri istituti mondiali, che hanno risposto positivi alla chiamata di Manet.
Sì al movimento delle opere, dunque. Sì ai confronti arditi. Sì alle collaborazioni. “Ho privato di capolavori-simbolo il museo di cui sono direttore, il Museo D’Orsay, perché nutro personalmente un profondo amore nei confronti dell’Italia“, ci confida Cogeval. Madre italiana, natali torinesi, ci spiega che è la nostra la sua seconda lingua, “em>perciò ho avuto da giovane il senso della modernità toccata, sfiorata dalla tradizione italiana. Anche se sono il direttore di un Museo, il d’Orsay dove nasce il movimento moderno, mi interessano tutte le radici che possono tornare verso l’Italia”. E ancora: “Rischiamo e facciamo tutto questo perché siamo sicuri del successo. Gli italiani, e soprattutto il pubblico internazionale, verranno in questo spazio che è il più grande a Venezia. Era bene risvegliare il Palazzo dei Dogi che mancava di ospitare mostre di questo tipo sin dall’evento dedicato a Tiziano nel 1990″. [LEGGI L’INTERVISTA AL DIRETTORE DEL MUSEO D’ORSAY]
Previsioni non ne ha volute fare, ma i numeri della mostra e gli investimenti sono chiari: 2 milioni di euro, 200-210 mila visitatori attesi (la Biennale sarà un buon volano), una meta da inserire nei circuiti culturali sempre gettonati dai turisti in visita tra le calli, con un “fifty-fifty” di attese tra italiani e stranieri.
D’altronde, proprio nelle ore in cui ci aggiravamo tra le sale, il Times di Londra rilanciava la notizia del grande evento. C’è da pensare, poi, che la catena di hotellerie Starhotel è tra i main partner dell’esposizione: si prospetta un gran bel boom di prenotazioni. Di certo, il tris di protagonisti di questa mostra sono di primo piano e da non perdere.
Uno, su tutti, Manet. Il secondo, prezioso, un direttore illuminato come Guy Cogeval. Le terze sono loro: Olympia e la Venere di Urbino. Per la prima volta in assoluto, e forse l’unica nella Storia, sono accostate l’una al fianco dell’altra. Due amanti di due mondi lontani; una profondamente italiana e ritrosa, l’altra classicamente francese, una cocotte da Moulin Rouge che con la mano sul pube e la nudità esibita con fiocchetto al collo e gatto nero sul letto si mostra e si nega contemporaneamente alla vista.
“E’ una mostra che toglie il fiato, anche per noi Storici dell’Arte. Avevo la lacrimuccia, ed ho pensato: “com’è possibile riuscire a mettere insieme due forze, due energie, due donne così diverse eppure così moderne?” “, ci dice la direttrice Belli.
Ed è davvero impossibile non soffermarsi e non provare ad immaginare di essere lì, al posto del pittore sentendosi un po’ Manet e un po’ Tiziano, ad osservare quel muso un po’ prognatico ed il volto non bello, ma illuminato da una pelle di luna e definito dai lineamenti così secchi da sfigurare di fronte alla perfezione classicista di Venere. Peccato che questo sia in potenza. Nell’atto, nel risultato, questo “c’erano una volta due cortigiane” diventa un racconto tra femmine, due generazioni a confronto. Due prototipi di femminilità, sensualità eccezionalmente messi insieme che danno uno schiaffo al visitatore appena arrivato in mostra, uno schiaffo che sa di erotismo e di eccezionalità dell’arte, massimi livelli ed icone di cui il tempo non finisce mai di saziarsi, tanto da avere ancora molto da raccontare anche al più bramoso assaggiatore di oggi. Ma quella, è una Bella storia che abbiamo chiesto di raccontarci a parte. Per adesso, godiamoci il viaggio di Manet immaginando di essere con lui sulla riva o al Café Florian. Inspiriamo, con la salsedine che arriva da mare, la sua anima italiana in un momento di grande confronto ed infinita completezza.
Manet. Ritorno a Venezia
Palazzo Ducale, Venezia
Fino al 18 August 2013
Con i prestiti eccezionali del Musée d’Orsay
Orari: dalle 9 alle 19 da domenica a giovedì – venerdì e sabato dalle 9 alle 20
Paola PERFETTI
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